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Cessazione del Rapporto di Lavoro

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Il rapporto di lavoro può estinguersi per una pluralità di cause previste dall’ordinamento, sia esso
un rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato.
Le principali cause di estinzione del rapporto di lavoro sono:
 la risoluzione consensuale;
 le dimissioni;
 il licenziamento;
 la morte del lavoratore.

 La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro si verifica quando le parti del contratto
di lavoro acconsentono consensualmente all'interruzione del contratto, poiché è venuta
meno la convenienza reciproca alla prosecuzione del rapporto contrattuale. Può avvenire sia
con una esplicita manifestazione di volontà, sia attraverso comportamenti concludenti da cui
si evince la volontà di non proseguire nel rapporto.

 Le dimissioni sono l’atto con cui un lavoratore dipendente, decide di recede
unilateralmente dal contratto di lavoro che lo vincola al suo datore. Il lavoratore può sempre
recedere dal contratto di lavoro ma con alcuni limiti.
o Se il rapporto di lavoro è a tempo determinato, il recesso è consentito solo in
presenza di una giusta causa e dunque in presenza di un grave inadempimento del
datore di lavoro che rende impossibile la prosecuzione anche solo provvisoria del
rapporto.
o Se il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, il lavoratore può recedere
liberamente ma deve rispettare il periodo di preavviso, la cui durata è stabilita dal
contratto collettivo, salvo sempre la presenza di una giusta causa

 Il licenziamento è l’atto con il quale il datore di lavoro recede unilateralmente dal contratto di
lavoro con un suo dipendente, puo procedere o di lavoro solo in presenza di:
o giusta causa, qualora si verifichino gravi inadempienze contrattuali e fatti e/o comportamenti
estranei alla sfera del contratto, in questo caso non è necessario alcun preavviso;
o giustificato motivo:
soggettivo, quando ricorre l’inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, meno
gravi e legati a fatti o comportamenti riguardanti il rapporto di lavoro, che fanno venir meno
l’idoneità del lavoratore a svolgere la mansione;
oggettivo, quando il licenziamento non è imputabile direttamente al lavoratore ma
determinato da ragioni legate all’ attività produttiva o all’organizzazione del lavoro.
Il datore di lavoro è tenuto a dare il preavviso al lavoratore.
Al momento del termine del rapporto professionale, il lavoratore dovrà percepire la liquidazione, le
ferie non godute e la percentuale della tredicesima.

Jobs act e licenziamento: le regole attuali

Con l’entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act che introduce il contratto di lavoro a
tutele crescenti è stata modificata e integrata la disciplina sanzionatoria relativa al licenziamento
per i dipendenti assunti a tempo indeterminato.Le nuove regole sono state applicata a partire dal 1
marzo 2015 ed esclusivamente in favore dei nuovi assunti.
Il Jobs Act ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il punto di maggior dissenso è
stata la divisione tra le regole applicabili per i vecchi assunti e quelle in vigore invece per i nuovi
assunti, i primi tutelati sulla base delle precedenti disposizioni e i secondi, invece, nei confronti dei
quali si applica la nuova disciplina dei licenziamenti, meno onerosa nei confronti delle aziende.
Il Jobs Act vengono prevede i seguenti tipi di licenziamento:
licenziamenti economici: il lavoratore ha diritto all’indennizzo ma non alla possibilità di
reintegro in azienda;
licenziamenti disciplinari ingiustificati: il lavoratore ha diritto all’indennizzo crescente in
base all’anzianità di servizio;
licenziamento discriminatorio: il lavoratore ha diritto al reintegro in azienda.
vengono stabiliti termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Jobs Act: licenziamento economico

Le regole attuali in vigore con il Jobs Act prevedono che in caso di licenziamento economico al
lavoratore spetta un’indennità crescente in base all’anzianità di servizio ma viene abolito il diritto
al reintegro sul posto del lavoro previsto dall’articolo 18, modificato e abolito dall’entrata in vigore
delle nuove disposizione, si è in presenza di dei licenziamenti voluti dal datore di lavoro a seguito di
crisi economiche dell’azienda, mancanza di liquidità o crisi organizzativa.
In base a quanto previsto dalla Legge n. 92/2012, ovvero la Legge Fornero, il lavoratore che
riteneva ingiustificato il licenziamento poteva chiedere il parere di un Giudice, il quale poteva
scegliere se applicare il diritto al reintegro del lavoratore sul posto di lavoro.
La tutela prevista per il lavoratore contenuta nell’articolo 18 dello Statuto è stata completamente
abolita con il Jobs Act e il contratto a tutele crescenti, prevedendo che l’unico diritto per il
lavoratore è quello a ricevere un’indennità crescente sulla base del periodo di anzianità di lavoro.

Jobs Act: licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa

Il Jobs Act stabilisce che in caso di grave violazione da parte del lavoratore rispetto alle clausole e
agli obblighi stabiliti dal contratto nazionale il dipendente possa essere licenziato con un preavviso
indennizzabile in busta paga.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo riguarda i casi in cui il lavoratore lasci il posto
di lavoro senza motivo, minaci un collega, il datore di lavoro o causi una rissa all’interno del posto
di lavoro o se ci sono continue violazioni del codice disciplinare dell’azienda che possono causare
licenziamento immediato del dipendente.
licenziamenti individuali disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo sono
operati dai datori di lavoro in caso di comportamenti che possano aver incrinato il rapporto di

fiducia aziendale e la prosecuzione del contratto di lavoro. Si tratta dei gravi comportamenti
individuati nell’articolo 2119 del codice civile ovvero, a titolo esemplificativo, insubordinazione,
rifiuto di tornare a lavoro dopo visita fiscale, furto di beni aziendali, condotte penalmente rilevanti
fuori dal luogo di lavoro.
Con il Jobs Act viene previsto che in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo non è
possibile richiedere la reintegrazione, eccetto per i casi di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Con le modifiche apportate allo Statuto dei Lavoratori viene meno il principio in base al quale il
lavoratore aveva il diritto di rivolgersi al Giudice il quale, sentite le parti, poteva deliberare sul
reintegro del lavoratore in caso di insussistenza delle motivazioni alla base del licenziamento.

Jobs Act: licenziamento discriminatorio

La possibilità di ottenere non solo il risarcimento ma anche il reintegro lavorativo interviene
soltanto nel caso di licenziamento discriminatorio, ovvero avvenuto a causa di motivazioni legate
a razza, sesso, lingua, salute, in caso di congedo matrimoniale, maternità, paternità.
Il lavoratore dovrà riprendere servizio entro 30 giorni dall’invito formulato dal datore di lavoro,
eccetto nel caso in cui il lavoratore richieda l’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima
retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
Il lavoratore che scelga di richiedere l’indennità sostitutiva chiede implicitamente la risoluzione
del contratto di lavoro.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno l’indennità dovrà tener conto della retribuzione
maturata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione e non potrà essere
inferiore a 5 mensilità. A titolo di risarcimento del danno il datore di lavoro è obbligato anche al
versamento dei contributi previdenziali e assistenziali in favore del lavoratore.
Si tratta dell’unico caso in cui il Jobs Act non ha modificato o integrato le disposizioni contenute
nel precedente articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e quindi restano sostanzialmente invariate le
regole attualmente in vigore con quelle previste in precedenza.

Jobs Act: termini dell’impugnazione del licenziamento

Ulteriore regola introdotta dal Jobs Act relativamente alle regole per il licenziamento riguarda
i termini certi per l’impugnazione. In sostanza con l’entrata in vigore del nuovo contratto a tutele
crescenti si stabilisce che il lavoratore può impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla
ricezione della notifica.
Per effettuare l’impugnazione stragiudiziale il lavoratore avrà, invece, 180 giorni di tempo per
depositare il ricorso contro il licenziamento al Tribunale del Lavoro